Mi ha sempre colpito e fatto riflettere una frase dell’Antico Testamento che dice “Signore, mille anni davanti a te sono come il giorno di ieri che è passato. Come un turno di veglia nella notte” (Sal 90,4). Si tratta di una frase che mi ha sempre ispirato un grande senso di provvisorietà.

Infatti, non amo la definitività. Sa di chiuso e di presunzione. Nella definitività il tempo si raggomitola su se stesso, implodendo. I Greci lo hanno detto, quando hanno affermato che “Kronos divora i suoi figli”. E allora che fare?

Per non lasciarsi divorare dal tempo è necessario togliere al tempo il suo spessore, il potere che ha di passare e fluire, lasciandoci indietro. Lasciarci definitivamente. Senza niente. Il tempo lo subisce solo chi lo vede come definitivo. Assoluto. Compatto. Lo guarda venire e lo guarda andare e non ha tempo di abitarlo e di comprenderlo. Di viverlo, cogliendo gli attimi nei quali esso si dipana.

Amo invece la provvisorietà, dove tutto è come sospeso. Essa ha il profumo della quotidianità e il sapore delle piccole cose. In essa si gioca l’attesa e la sorpresa. Ma anche la fatica del costruire e del crescere. È lì che il passato e il futuro si incontrano in un presente impegnato, responsabile, capace di prendersi cura del poco che ci viene centellinato. È lì che il vecchio e il nuovo si danno appuntamento, ciascuno con la propria originalità, provocando la nostra creatività. È lì che il dolore di ciò che finisce si intreccia con la gioia di ciò che nasce e comincia.

Molti esorcizzano il tempo. C’è chi lo fa scappando di qua e di là, chi lo riempie a tal punto da avere la sensazione che sia lui a controllarlo. Atri invece, con la paura di sbagliare, evitano di assumerlo. Altri, infine, preferiscono stordirsi, creandosi brevi e illusorie pause di falsa eternità.

Ma oggi, in un tempo frammentato, liquido, anonimo, e tuttavia costellato di nuovi assoluti, posti come siamo sotto il dominio del principio di prestazione, la sensazione del provvisorio che sa di brevità e di transitorietà, ma anche di intensità e audacia, potrebbe essere un modo intelligente per rapportarci al fluire del tempo senza essere da esso feriti.

La brevità non ci rende padroni del tempo che ci è dato, ma solo amministratori di attimi che, messi in fuga, hanno solo bisogno di essere ordinati da chi, come noi, deve fare tutti i giorni i conti con la propria fragilità e vulnerabilità.

E allora torna attuale la lezione di S. Agostino che definiva il tempo “Distensio animi”, nel senso che solo chi vive il tempo come dimensione interiore, non lo subisce nel suo fluire oggettivo ed esteriore, ma, riuscendo a tenere insieme le tre sfere di passato, presente e futuro, vive ogni attimo con estrema intensità e distacco, tenendo insieme i pezzi della propria temporalità.

Successioni, cadenze, ritmi, sequenze, coincidenze, concordanze, comparazioni, sviamenti, allungamenti e ritardi: sono tutte forme del tempo che spesso ci dilaniano dentro, e che solo la brevità ci consente di affrontare con quell’atteggiamento giusto che i mistici e alcuni filosofi classici chiamavano “distacco”.

Ecco allora che l’elogio della brevità non è altro che un elogio del distacco. Non apologia della superficie, o dell’immediato, o ancora della caducità, ma l’incanto per ciò che ci accade. Stupore e meraviglia per il non previsto, anche quando esso è negativo, visto che lo hai messo già in conto.

Nella brevità non abbiamo tempo di dominare il tempo. Non abbiamo tempo di attaccarci a ciò che il tempo ci dona, facendone una nostra proprietà. In fondo, i conflitti sociali nascono proprio da questa inutile e perversa preoccupazione di rubarci reciprocamente il tempo. Perché, come si dice, siamo tutti illusoriamente convinti che “il tempo è denaro”.

Nella brevità il tempo non ci domina. Ci sfiora. Ci attraversa. La brevità ci libera dal tempo che passa e ci fa restare oltre ciò che perdiamo. E chi è libero dal tempo ha più tempo di qualunque altro. Scopre la lentezza e convive con la propria brevità e la propria provvisorietà. Anzi, chi è libero dal tempo, libera il tempo da tutte quelle forme di mercificazione oggi dettate dal turbocapitalismo imperante, che ha ridotto tutto a merce di scambio, anche il tempo.

Se assumessimo la brevità come criterio per misurare il tempo. forse non faremmo le guerre, né ci affanneremmo ad accaparrare e ad accumulare ricchezze, sottraendole agli altri. Sapremmo che, come un ladro il tempo è sempre pronto a bussare alla porta delle nostre sicurezze per portarci via quanto pensiamo di potere trattenere per sempre.

In tal senso, la brevità evita la visione dispotica del tempo, e ci fa fare l’esperienza della prossimità e dell’alterità. La brevità, come ci ha insegnato il filosofo Levinas in un suo bel testo dal titolo “Il tempo e l’Altro”, ci apre al tempo dell’altro. Non ci fa dire solo “mio” o “tuo”, ma anche “nostro”. Ecco la sfida: passare dal tempo dell’io al tempo del Noi, accettando la brevità e la provvisorietà.

Che cosa manca, allora, al tempo come lo viviamo noi oggi? Manca la consapevolezza che il tempo è un dono e non una merce di scambio. Il tempo non si compra, ma si condivide. Il tempo, che mercificato viene scambiato, consumato, e quindi usurato, è il tempo che più passa, e di esso non resta nulla. Invece, il tempo che si dona è il tempo che rimane. Non ha prezzo, perché ciò che costruisce è molto più grande di ciò per cui si spende. È il tempo di chi ha cercato di rendere migliore questa nostra umanità. Questa nostra città.

Sia chiaro, la provvisorietà non ci autorizza a improvvisare, ma neanche troppo a pianificare, perché il tempo, nonostante i nostri piani, nasconde le sue trappole e noi comunque prima o poi vi cadiamo dentro. E tra chi ci cade, solo chi lo vive con questo senso di brevità, ne esce indenne.

La brevità, grazie al distacco, trasforma il tempo da merce in dono. Trasforma il tempo da semplice successione di accadimenti (Krònos) in eventi carichi di senso (Kairòs). E donare il tempo è redimere il tempo. Investire il tempo anche in una dimensione sociale e non solo individuale.

E, allora, che il nuovo anno sia per la nostra città l’anno del ricominciamento proprio in questo senso: che ciascuno abbia tempo non solo per sé ma anche per gli altri. Perché il tempo del Noi – quello sociale – è molto più grande del tempo dell’io – quello individuale!

Auguri di buon anno!